Vasca da bagno, resina, polveri, pigmenti, cm 83,5x193,5x82,5.
I protagonisti delle opere di Giulia Cenci (Cortona, 1988, vive ad Amsterdam e a Cortona) sono perturbanti ibridazioni di uomo, animale e macchinario. Nel caso dell’opera realizzata per il Premio Cairo, Untitled, un lupo (il calco di una sagoma da tassidermista) è immerso in una vasca idromassaggio: la sua postura distesa può ricordare quella di un uomo che si gode il refrigerio, ma anche quella di un animale esanime oppure morto − e come sottinteso occhieggia una grottesca citazione della Morte di Marat di Jacques-Louis David. La vasca è “sventrata” e lascia intravedere le sue componenti interne, il suo “scheletro”, come se fosse anch’essa un organismo o come se facesse parte di un unico corpo assieme al lupo. Con il suo abituale uso di materiali di recupero associato alla tecnica del calco, l’artista porta avanti la sua riflessione su “corpo organico e corpo artificiale”, come spiega lei stessa.
«Mi preme esplorare il rapporto con i macchinari che abbiamo creato: sono nostre estensioni, ma allo stesso tempo siamo sottomessi a essi». Spesso organizzati in installazioni complesse ed estese a un’intera stanza, in questo caso sotto forma di singolo elemento scultoreo/installativo, i lavori dell’artista corteggiano il macabro e il paradossale spingendo lo spettatore a interrogarsi su ciò che sta vedendo. La repulsione iniziale porta anche a un rispecchiamento nell’opera da parte di chi guarda, a interrogativi sulla deriva tecnologica contemporanea, sull’idea di violenza soggiacente ed esplicita, ma anche sulla resistenza dell’individuo in un mondo complesso e per molti versi ostile.
I protagonisti delle opere di Giulia Cenci (Cortona, 1988, vive ad Amsterdam e a Cortona) sono perturbanti ibridazioni di uomo, animale e macchinario. Nel caso dell’opera realizzata per il Premio Cairo, Untitled, un lupo (il calco di una sagoma da tassidermista) è immerso in una vasca idromassaggio: la sua postura distesa può ricordare quella di un uomo che si gode il refrigerio, ma anche quella di un animale esanime oppure morto − e come sottinteso occhieggia una grottesca citazione della Morte di Marat di Jacques-Louis David. La vasca è “sventrata” e lascia intravedere le sue componenti interne, il suo “scheletro”, come se fosse anch’essa un organismo o come se facesse parte di un unico corpo assieme al lupo. Con il suo abituale uso di materiali di recupero associato alla tecnica del calco, l’artista porta avanti la sua riflessione su “corpo organico e corpo artificiale”, come spiega lei stessa.
«Mi preme esplorare il rapporto con i macchinari che abbiamo creato: sono nostre estensioni, ma allo stesso tempo siamo sottomessi a essi». Spesso organizzati in installazioni complesse ed estese a un’intera stanza, in questo caso sotto forma di singolo elemento scultoreo/installativo, i lavori dell’artista corteggiano il macabro e il paradossale spingendo lo spettatore a interrogarsi su ciò che sta vedendo. La repulsione iniziale porta anche a un rispecchiamento nell’opera da parte di chi guarda, a interrogativi sulla deriva tecnologica contemporanea, sull’idea di violenza soggiacente ed esplicita, ma anche sulla resistenza dell’individuo in un mondo complesso e per molti versi ostile.
Stefano Castelli