Il portiere di riserva
Il portiere di riserva
I guantoni come quelli di Zenga, da lavare dopo ogni allenamento e conservare con la pellicola per farli durare di più, le scarpe nuove con i tacchetti che ne compri un paio e basta, poi tocca al calzolaio sotto casa rattopparle. Ma soprattutto il pallone. Ovunque ci sia un pezzo di prato, meglio se fangoso, su cui buttarsi per parare. Perché questa è la storia di un ragazzino che diventa grande nella periferia torinese costellata di simboli granata negli anni Settanta. La storia di un sogno da calciatore, anzi da portiere («Perché giocare in porta è tutta un’altra cosa»), la passione di un ragazzino destinato a diventare grande tra i pali. Non da titolare, ma da riserva, attraversando la provincia dell’Italia che cambia. Non c’è solo il calcio, nel percorso narrativo in cui si trasformano vita, carriera, vicissitudini, famiglia e squadre di Alberto Maria Fontana, conosciuto da amici e tifosi come Jimmy. Sì, proprio il portiere di riserva e tifoso del Toro. L’inseguimento della sua vocazione si svolge lungo una strada segnata da episodi e partite, aneddoti e riflessioni: da Torino al Torino, passando per Aosta e Voghera, divagando fino ad Amburgo e tornando a Verona, muovendo nel cuore dell’Emilia e ai margini di Reggio Emilia, emigrando a San Donà, Pistoia, Palermo e Pescara, ma ascoltando ciò che succede a Baghdad, Lampedusa e Kabul, tra riflessi di calcio malato che illuminano le pieghe oscure di un paese in cambiamento. Dalla panchina del portiere di riserva parte il giro d’Italia, anzi il giro dell’anima affidato e trasformato in parole da Marco Mathieu, giornalista e tifoso, in questo caso responsabile del racconto, che mostra l’altra faccia del calcio, una faccia nascosta del nostro paese. E non solo.