Cani dal cielo
Cani dal cielo
«Il cane traversò la strada e trotterellò verso di me agitando la coda. Si muoveva con grazia e misura, scodinzolava e lasciava intendere di conoscermi. Non sembrava un randagio. Piuttosto aveva un’aria selvatica. Gli lanciai una patatina, lui la leccò dal marciapiede senza ledere la propria dignità.»Giorni di caldo canicolare, periferia di una città tedesca. Terreni abbandonati, discariche, rade macchie boschive, edifici abbandonati. Una ragazza solitaria, schiva, abituata a fare i conti con se stessa e ora con il fantasma della madre morta da poco, si aggira nel paesaggio allucinato, quando, all’improvviso, al suo fianco sbuca un cane.È nero, misterioso, elegante nella forma e nelle movenze. Non si lascia seminare, sceglie con determinazione la giovane donna come sua padrona, diventandone da quel momento l’ombra fedele e spesso minacciosa. Impone i suoi ritmi e i suoi bisogni animaleschi all’esistenza di lei, che va facendosi sempre più rarefatta e cerebrale, quasi immateriale, dando luogo a un sottile conflitto, in cui si alternano attrazione e repulsa, coinvolgimento emotivo e rabbioso distacco.Il linguaggio di Marion Poschmann sa abbinare magistralmente il registro dell’ironia a quello della lirica più intensa e immaginifica, sa smontare l’idillio del paesaggio romantico rielaborando uno scenario di assoluta modernità, capace di rispecchiare con crudezza la disgregazione dell’habitat umano contemporaneo. Ma se un prato ai suoi occhi diventa una puntigliosa elencazione di termini botanici, se dagli scaffali dei supermercati incombono caterve minacciose di merci e le relazioni umane si riducono ai brevi sproloqui della vicina o a rare chiacchiere insulse, tra gli interstizi della realtà ancora circola la linfa antica e vitale del mito, a un passo dalla desolazione spunta la poesia e dietro la vicinanza inspiegabile e improvvisa di un cane nero brilla in cielo la stella luminosa di Sirio.