Romanzaccio provinciale
Romanzaccio provinciale
Travagliare, bere, delinquere e invecchiare a Cacciacapre in Val Sabbia, villaggio di quasi montagna in provincia di Brescia dove il tempo è fermo alle balere, al grammofono, al cinematografo, alle osterie, alla Simca 1000, al flicorno baritono. Dove la moneta in vigore è ancora lo Scudo, quando non si baratta. Dove gli indigeni portano velluti a coste larghe, le indigene la sottana e i capelli raccolti in uno chignon. Non c’è traccia di modernità come televisione, cellulare, internet e affini. Si ragiona ancora di lettere portate da piccioni viaggiatori. Qui si rubano le galline di notte e l’economia è tenuta in piedi da lavori medievali come l’accompagnatore di bestiame, il pulitore di pietre o l’asciugatore di pozzanghere. I fratelli si passano la roba smessa, scarpe, cappotti e bicicletta, e il nonno si lamenta perché la vedova vicina di casa preferisce ballare con il Gino. C’è chi prende al volo i mosconi robusti da letame, chi si alleva sottopelle un acaro obeso, chi mangia i bargigli crudi dei galli. Ci sono anche gli scemi del villaggio a cui il Comune ha dedicato un busto commemorativo e il circo, dove le umane disgrazie diventano attrazioni. E non manca la paura di finire vecchio seduto in veranda a rimpiangere il grande quasi amore buttato nel cesso anni prima per non avere avuto il coraggio di mettersi in gioco. Un viaggio surreale nella provincia raccontata da uno che, tra una camporella e l’altra, ne conosce tutti i prati. La provincia secondo lui.